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Archivio di Stato e Chiostro
del Platano
L'Archivio di Stato di Napoli, il cui primo nucleo
fu sistemato in epoca angioina presso il Castel dell'Ovo, per essere
trasferito poi in Castel Capuano, è ospitato dal 1845 nell'antico
monastero benedettino dei Santi Severino e Sossio.
Questo convento ebbe origine intorno all'846, quando fu in questo luogo
fondata una piccola chiesa per accogliere le spoglie di San Severino,
alle quali furono successivamente aggiunte quelle di San Sossio.
Nel X secolo vi si trasferì un piccolo gruppo di frati benedettini
che vi fondarono il monastero il quale, più volte distrutto,
fu poi ricostruito grazie al contributo di Alfonso d'Aragona nell'ultimo
scorcio del XV secolo.
L'imponente complesso ancora conserva, nonostante i danni subiti nel
tempo, l'impronta architettonica della sua fase tardo-cinquecentesca;
in particolare segnaliamo nell'antica sala del Capitolo (oggi del Catasto)
e sulla volta del Refettorio, noto in tempi odierni come Sala Filangieri,
gli affreschi di Belisario Corenzio, pittore attivo prevalentemente
nel primo trentennio del XVII secolo, ma intensamente legato alla cultura
tosco-fiamminga imperante a Napoli nel periodo della Controriforma.
L'episodio decorativo più importante ancora oggi visibile nel
monastero è certamente il ciclo di affreschi eseguiti dal pittore
Antonio Solario detto lo Zingaro lungo due lati del portico del chiostro
del Platano.
Il chiostro, che è solo uno dei quattro all'interno del complesso
conventuale, prende nome da un albero di platano piantato, secondo la
tradizione, da San Benedetto ed abbattuto nel 1950.
Proprio alle storie della vita del Santo è ispirato il ciclo
di affreschi, composto da venti scene, le prime due monocrome, non tutte
eseguite dalla stessa mano.
Alcuni studiosi hanno ipotizzato l'intervento di Riccardo Quartararo
in alcune scene mentre un maestro napoletano intriso di cultura fiamminga
potrebbe essere intervenuto in altre (in particolare nelle ultime due
che sembrano molto diverse dal resto, soprattutto per la concezione
spaziale meno ariosa e per le forzature prospettiche).
Ancora resta da dipanare il groviglio attributivo, mentre sicuramente
godibilissimi risultano gli affreschi di questo ciclo, in parte restaurati.
(Paola Fardella)
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