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Centro Direzionale
L'idea di un Centro Direzionale si pone nel 1964 durante
la revisione del Piano Regolatore.
Prodotto tipico dell'urbanistica degli anni Sessanta ossessionata dal
mito americano di una modernizzazione tout court, il tema dei centri
direzionali ebbe una vasta applicazione: a decretarne il successo si
associarono la forte spinta ideologica e la dirompente componente economica.
Il nuovo polo venne localizzato a Nord-Est della Stazione Centrale in
un'area di proprietà del Comune e della Mededil.
Nel 1975 venne deliberato un progetto di massima a cui seguirono rielaborazioni
confluite nell'intervento conclusivo di Kenzo Tange.
Il suo progetto prevede la separazione tra traffico pedonale e veicolare:
questo, comprensivo dei parcheggi, si svolge ad un livello inferiore
rispetto alle larghe piastre pedonali che avrebbero dovuto svilupparsi
su tre assi longitudinali est-ovest collegati da due assi trasversali
nord-sud, con un intento monumentale.
Il progetto ha subito varianti ed è rimasto incompiuto a nord.
Entrando da via Porzio ci s'immette sul primo degli assi longitudinali:
negli intenti di Tange questo doveva essere un giardino rigoglioso,
un parco di reminiscenze orientali; problemi diversi hanno condotto
ad una riprogettazione dell'asse che, sottoposto alla creatività
di Pierluigi Spadolini, è diventato un ininterrotto susseguirsi
di piazze a diversi livelli affiancate da portici.
Due piazze ottagonali rialzate delimitano, come torri di guardia, l'area
che segna l'incrocio con il primo degli assi trasversali, chiuso a nord
dalla chiesa di Spadolini.
Accanto a questa, sull'asse longitudinale centrale, s'innalza il Palazzo
di Giustizia progettato da Capobianco e Pica Ciamarra, unica architettura
che non rimanga schiacciata dalla macchina urbanistica: con le sue torri
sorgenti da una plastica massa orizzontale, il Palazzo si pone come
città nella città, reiterando il tema su cui si fonda
l'intero polo.
Tange ha lasciato notevoli libertà nella progettazione degli
edifici che si presentano con qualità formali variegate: dall'ipertecnologico
edificio di Piano alle opere "mitteleuropee" di Pagliara,
dalle moderniste facciate di vetro ai dichiarati esempi di speculazione
edilizia, l'architettura italiana presenta qui un abaco pressoché
completo.
(Salvatore Autorino)
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