Il
palazzo fu progettato da Ferdinando Sanfelice
per uso proprio e compare per la prima volta
nella pianta del Duca di Noja.
La critica è
concorde nel fissare la data di inizio dei lavori
tra il 1724 ed il 1726, prima che fosse edificato
dallo stesso architetto il Palazzo dello Spagnolo,
sito poco distante.
L'edificio consta di due
corpi distinti, unificati dalla fantasiosa ed
al tempo stesso composta facciata che segue
l'andamento curvo della strada ed è caratterizzata
da due portali di tipica cifra sanfeliciana;
ognuno dei portali è sovrastato da una
coppia di sirene in stucco recante un cartiglio
con iscrizioni composte, come vogliono alcune
fonti, dal letterato Matteo Egizio.
Da queste
iscrizioni si deduce che se Sanfelice fu del
primo corpo di fabbrica responsabile del progetto
e dell'edificazione fin dalle fondamenta, con
il secondo si trovò invece ad operare
con delle preesistenze, oggi non più
identificabili.
Il primo corpo di fabbrica si raccoglie intorno
ad un piccolo cortile di forma ottagonale, sul
quale si apre una scala che anticipa la soluzione
della doppia rampa disegnata da Sanfelice per
la chiesa San Giovanni a Carbonara.
Tra le decorazioni
a stucco spiccano i mascheroni, elemento caratterizzante
del gusto decorativo sanfeliciano.
Il secondo
cortile, invece, più ampio e di forma
rettangolare è completamente dominato,
ormai persa la decorazione in stucco, dalla
scenografica scala aperta sia sul cortile che
sul giardino retrostante, leggermente rialzato:
la soluzione della scala come diaframma tra
lo spazio delimitato dal portale, dall'androne
e dal cortile, e quello delle terrazze giardino
diverrà una soluzione ricorrente nell'edilizia
civile napoletana, spesso costretta a mortificare
le facciate data la mancanza, sulla strada,
dello spazio necessario per un adeguato apprezzamento.
Ancora nel 1845 data della pubblicazione del
testo dedicato da Luigi Catalani ai palazzi
napoletani - era possibile vedere al primo piano
del secondo corpo di fabbrica, ormai appartenente
ai marchesi di Vigo, la volta di una galleria
affrescata da Francesco Solimena con paesaggi
e figure allegoriche di virtù e, nella
cappella privata, quattro grandi statue di marmo,
raffiguranti Le stagioni, di scuola di Sammartino,
opere scomparse nel 1854, secondo quanto riferiva
Chiarini.
(Paola Fardella)
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