L'oliandolo
si aggira tutte le mattine e nelle ore vespertine per quasi tutti
i quartieri della nostra città.
Egli
veste di un solo colore grigio o celeste scuro, non sappiamo la
ragione, pensiamo che sia uno speciale modo per distinguersi.
Esso è un uomo robusto e di buona salute, come tutti quelli
che fanno gran moto, egli cammina, cammina da mattina a sera.
Porta
con se il suo otre. Attaccate ad una fascia che gli cince la vita,
porta dei recipienti di varie misure e un imbuto che serve per
versare l'olio negli stagnoli dei compratori .
La
sua merce di duplice uso non è quello che occorre nelle
prime ore del mattino; essa deve servire o per il pranzo o per
la lucerna che serve ad illuminare le buie sere o per alimentare
una lampada votiva.
L'oliandolo
nel suo commercio si contenta di un piccolo guadagno, vende volentieri
a credito finché non si accumuli una somma che il suo avventore
possa far fronte. Il
vocabolo nudo che esprime la sua merce uoglie (olio)
Il
trova sigari non esercita soltanto questo mestiere; ne ha altri
sei o sette dello stesso calibro, che fa seguire secondo le ore
del giorno.
Esso
è successivamente portatore di commestibili e delle provvigioni
fatte dai cuochi; banditori e venditore delle canzoncine che ad
un soldo spacciano ai napoletani, il che è l'alunnato necessario
in ogni specie di professione, e col quale egli aspira un giorno
ad elevarsi all'ambita dignità di saponaro.
Egli
molte volte per procurarsi un mezzo sigaro segue per molta strada
chi lo sta fumando nella attesa che questi lo lasci cadere.
L'ARROTINO
L'apparenza
inganna, e l'abito non fa il monaco, se per caso pensaste che
quella macchina dell'arrotino fosse poca cosa, come sembra, quel
grido prolungato, ammola-forbici non fosse che una voce volgare,
v'ingannereste.
Che studio, che meditazione, che sapienza in quell'uomo con la
sua modesta macchina!
Esaminiamo la macchina del nostro arrotino.
Viene su dal centro un legno, a questo è attaccata una
secchia di latta, mezza logora e sudicia, di forma circa di una
fiaschetta, nel collo si introduce l'acqua, la quale cade giù,
goccia a goccia, sull'orlo della ruota di pietra, per via di un
tubicino che parte dal mezzo della secchia, frenata da un fil
di ferro.
Passa per il centro della ruota di pietra, collocata tra due aste
principali verticali, un asse rotonda di ferro, mossa da una vicina
carrucoletta, su cui si avvolge un cordicella, legata alla grande
ruota di legno.
Un'assicella sull'estremità dritta della macchina è
mossa da una grossa puleggia, che termina ad un ferro, presso
a poco a forma di girella, il quale fa volgere l'asse della ruota.
Così l'arrotino, agitando col piede questa assicella, gira
la ruota principale, e con essa, in conseguenza, la carrucoletta
e la ruota di pietra.
LA TESSITRICE
GLI
ZAMPOGNARI
IL
CONCIATEGAMI
SCORCIO DI VIA S.LUCIA
FOTO D'EPOCA
L'OSTRICARO
- LA VENDITRICE DI SPIGHE - IL VENDITORE DI POLPI - L'ACQUAIOLA
Il
banco dell'ostricaro anche essendo una rozza panca sormontata
da mille sportelle di frutti di mare ti colpisce per il suo
odore di alga marina e quel che è peggio ti fa venire
l'acquolina in bocca.
La vera poesia è una gocciolante sportella di ostriche,
di angine, cannolicchi, vongole, ecc. mangiate saporitamente
a Santa Lucia con un chiaro di luna che ti bea, o anche alla
fioca luce di un lume di una rozza lucerna di creta.
Gli ostricari, seduti patriarcalmente, ciascuno a fianco della
sua piccola bottega ambulante, con un coltellaccio nelle mani
pronto a spaccare quante dozzine di ostriche o di angine vi
piace, essi invitano il passante a sedersi e gustare le primizie
del Fusaro. Come
resistere alla lusinghiera vista di quelle cento sportelle messe
li in bell'ordine, allo spettacolo attraente di quei frutti
golosi, non c'è via di mezzo - se avete la forza di guardare
con indifferenza il primo, ecco il secondo che vi invita - resistete
al secondo, v'incalza il terzo - l'odore inebriante dell'alga
marina vi attrae; non c'è forza che valga - bisogna sedersi
e mangiare.
E quanto siete ben sazio - l'ostricaro vi mormora all'orecchio
- Signurì v'aggio servito a dovere, allicurdateve de
Mucchietiello!
Egli è un caporione del quartiere di Santa Lucia, e spesso
fa da giudice di pace nei frequenti litigi che nascono tra i
suoi vicini pescatori o marinai
Dalle panche allineate degli ostricari si passa a quella del
venditore di fichi d'india, poi alla caldaia della venditrice
di spighe la quale senza mai posare il ventaglio con il quale
soffia l'inestinguibile fuoco della sua caldaia.
Ella è una tarchiata e grossa popolana che ogni due minuti
reclamizza le sue pannocchie di granturco gridando pollanchelle
tennere.
Allato alla venditrice di spighe sorge un'altra colossale pignatta
è quella dei purpetielli (polpi), cibo tenuto pure in
grandissima stima dalla minuta plebe, e di non facile digestione
- ciò però non toglie che anche alla mensa dei
ricchi il polipo non occupi un posto onorevole - La differenza
sta nel modo di mangiarlo - I popolani lo tirano fuori dalla
pignatta, lo affettano e lo mangiano con un po' di sale - i
ricchi invece lo condiscono con olio e succo di limone.
Ma la vera morte del polipo è nell'acqua bollente.
Per far si che il polipo acquisti maggior sapore, si usa farlo
cuocerlo con la stessa acqua che da esso emana.
Infatti l'antico detto napoletano dice: "fare cocere a
uno co l'acqua soja stessa" che vuol dire far correggere
chicchessia dé suoi difetti a proprie spese.
Poi ci sono varie venditrici di acqua sulfuria con i loro banchetti
ornati di limoni, aranci e vari tipi di frasche generalmente
sono delle bellissime luciane che invitano i passanti a bere,
una volta che un avventore si è fermato da una di loro
dovrà dissetarsi sempre dalla stessa altrimenti per lei
sarà un affronto e mai nessuna delle altre acquaiole
invoglierà quel cliente a cambiare banchetto.
LO SCRIVANO
All'ombra
del portico che decora l'ingresso di alcuni dei nostri teatri,
la dove la spessezza dei pilastri offre riparo dal vento e dalla
pioggia pochi uomini di sparuto aspetto e con abiti gretti e cenciosi
siedono davanti un vecchio tavolo, che contiene qualche foglio
di carta, uno sporco calamaio ed un piccolo peso che impedisce
alle poche carte di volare via al soffiare del vento.
Questi uomini molto pazienti si rendono gli interpreti degli affetti,
le ire e le passioni degli analfabeti.
Il suo stile nello scrivere è molto semplice, ama la brevità,
non cerca mai modi eleganti per manifestare ciò che pensa
il suo vicino, egli è chiaro ed originale.
Lo scrivano ha pure la sua tariffa col prezzo dei suoi lavori,
cominciando dalla supplica in carta semplice fino al volume di
cento pagine, lo scritto alla spagnuola è il vero culmine
della sua arte.
Lo scrivano è l'interprete di tante passioni, è
il depositario dei palpiti altrui, delle amarezze delle giovani
fanciulle povere e onorate che per mancanza di istruzione debbono
molte volte arrossire raccontando i propri segreti.
E
una donna più o meno giovane o vecchia, che con un fascio
di sala sotto il braccio legato nel mezzo a una dozzina di traverse
(spruoccoli) si ferma ad ogni cantone o crocevia e grida 'mpagliasegge?
Tutto il suo capitale consiste in quello che ha sotto braccio,
tutti i suoi utensili consistono in un coltellaccio e una stecca
.
La poverina non ha una bottega: quando voi la chiamate per restaurare
le vostre sedie sdrucite di casa vostra, ella getta per terra
il suo fardello, si sdraia accanto ad esso, sull'uscio di casa
vostra, o nel cortile, o in mezzo alla strada, e tosto procede
alla sua operazione senza bisogna di assistenti.
Con due o tre tagli del suo coltellino taglia in un attimo l'antica
paglia, e comincia il lavoro di restauro.
La povera ossatura della sedia è da lei rivoltata in tutti
i versi, la sala intrecciata artificiosamente a guisa di corda
a più trefoli, e in poco d'ora l'opera ferve ed avanza,
ora raggiustando colla stecca, ora con esse mettendo il ripieno
nelle viscere dell'impagliatura se la sedia ha bisogno di qualche
traversa, alla spalliera o alle gambe, l'impagliatrice ve le mette,
e spesso lo zoccolo le serve di martello.
Finito il lavoro , lo presenta a chi glielo ha commesso, ne accetta
il compenso, raccoglie gli avanzi della sua roba, e ricomincia
il suo cammino intonando la sua cantilena : 'mpa-glia-segge!
L'IMPAGLIASEDIE
IL
LUSTRASCARPE
Il
pulizza stivali con la sua cassetta che contiene tutti gli attrezzi
per il suo mestiere che consistono in vari tipi di spazzole, del
lucido, e anelina nera e marrone.
Il suo posto è quasi sempre vicino ad un caffè dove
ci sono la maggior parte dei sui clienti, quasi sempre sono in
due che con le loro cassette si dividono gli avventori.
Iniziano la loro attività verso le sette del mattino e
restano fino alle otto di sera, e quando uno si allontana per
potersi mangiare qual cosa l'altro resta sul posto e custodisce
la cassetta dell'altro, molte volte si uniscono e alla sera si
dividono il misero guadagno che hanno fatto durante il giorno.
Quando il pulizza stivali si accinge all'opera, egli si impadronisce
del vostro piede , lo pone sullo zoccolo di legno rialzato sulla
sua cassetta, prima lo accarezza e ne toglie il fango e la polvere,
lo unge con un poco della sua mistura, e poi si pone al lavoro
dello strofino.
Terminato di pulire un piede, egli da un colpo di spazzola sulla
cassetta, e vi comanda così tacitamente di adagiare sullo
zoccolo l'altro piede per procedere alla somigliante operazione.
Lui invita i passanti dicendo pulizzamm pulimm; ma nelle giornate
di pioggia egli guarda malinconica le scarpe dei passanti senza
dare il suo invito ,rendendosi conto che sarebbe inutile
IL
LUSTRASCARPE
L'ACQUAVITAIO
BALLATA POPOLARE (LA
TATANTELLA)
IL PULCINELLA
LA
CAPERA
La
capera è una giovinetta popolana, per lo più nubile
e aggraziata, giacchè la giovinezza e la bellezza sono
pregiudizi a favore del gusto.
E una capèra senza gusto è come un poeta senza estro
o un romanziere senza immaginazione.
La capera quasi sempre si chiama Luisella, Giovannina, Carmela,
ella veste sempre con molta ricercatezza, ma in particolare il
suo capo deve essere una specie di mostra, di campione, di modello
non per le donne popolane ma per quelle di civil condizione.
Il compenso che riceve la capera varia a seconda della qualità
e condizione delle sue clienti ella riceve da tre carlini fino
a trenta carlini o tre piastre al mese.
Qualche capera si vede già per le vie della città
con cappellino, guanti e ombrellino.
Ella si riconosce tra un crocchio di giovani donne.
Eccola, è la più alta, la più svelta, la
più elegante, il suo capo è il meglio acconciato,
i suoi vestiti i più eleganti i suoi piedi i meglio calzati.
Ella parla sempre, conosce i fatti di tutti, ed è specializzata
in materie amorose.
La capera è l'amica più confidente delle donne che
hanno varcato i trent'anni, ed il motivo è chiarissimo.
A questa età cominciano ad insinuarsi nelle chiome annunzi
dell'autunno della vita.
Ogni anno che la capèra fà sparire dall'atto di
nascita (ringiovanire) delle sue clienti ne guadagna in prestigio.
Il suo genio consiste nel saper nascondere i difetti che l'età
adduce sulle loro teste.
Qui un gruppetto di fili d'argento che ella fa sparire, o un trucioletto
ribelle che ella deve mettere a posto.
La capera provvede a tutto, qua impinza, là toglie, là
imbruna, giù allustra, là gonfia, qui sgonfia, le
sue mani fanno prodigio; e dieci quindici anni spariscono sotto
le sue dita.
IL
PIZZAIUOLO
La
bottega del pizzaiolo si compone di un banco su cui si manipolano
le pizze, sormontato da una specie di scaffale ove sono in mostra
i commestibili, e ingombro di vasi contenenti sale, formaggio
grattugiato, origano , pezzetti di aglio ecc.
Le pizze più ordinarie, dette con l'aglio e l'oglio, hanno
per condimento l'olio, e sopra vi si sparge, oltre al sale, l'origano
e spicchi d'aglio trinciati minutamente, chiamata anche Marenara
Altre sono coperte di formaggio grattugiato e condite con strutto,
e allora vi si pone sopra qualche foglia di basilico.
Alle prime spesso si aggiunge del pesce minuto, a pizza c'alici;
alle seconde delle sottili fette di mozzarella, pizza margherite.
Talora ripiegando la pasta su se stessa se ne forma quel che chiamasi
calzone.
Molte pizzerie hanno dei giovani che vanno girando per i mercati
e per gli artigiani con un recipiente di rame che portano sulla
testa.
Reclamizzano il loro prodotto con quelle voci che si sentono da
quasi tutti i venditori ambulanti per richiamare gli avventori,
una di questa è "A signorina mia pure lle piaceve
o pesciolino dint'ha pummarola bella pasta!"
IL
FRANFELLICCARO
Il
vecchio franfelliccaro che girava per le strade con una piccola
spasa rettangolare con quei pezzetti giallognoli di miele consolidato
attraverso un processo tutto particolare.
Poi la spasa fu sostituita con un leggero tavolino portatile,
sul quale il venditore trasporta la sua merce per tutte le strade
della città, poggiandolo in terra o all'avvicinarsi di
un compratore o nelle piazze più spaziose invogliando
a comprare la sua merce al grido zucchere janche (zucchero bianco)
e mele.
LO
SPAZZATURAIO
IL CIABATTINO
IL
VENDITORE DI ROBE VECCHIE
IL
CENCIAIUOLO (ò sapunaro)
Non
vi è strada remota o principale che sia, nella quale il
cenciaiuolo non faccia udire la sua voce rauca e stanca pronunciando
a gran voce la parola sapone.
I ragazzi del popolo, i furbi monelli gli corrono dietro offrendogli
chi un lembo di grembiule, chi un canavaccio di mille colori,
chi uno straccio di pezza; e tutti vogliono i lupini, le carrubbe
e i pastorelli, cioè bambocci di creta che si pongono a
Natale su i presepi.
Il cenciaiulo ha molte difficoltà nel contenere la foga
di questi ragazzi che non sono mai contenti di quello che ricevono
e pretendono sempre di più.
Le donne poi gli offrono cenci più sani e domandano in
compenso un buon cartoccio di sapone o dei cucchiai o altri oggetti
di stagno per la cucina.
Il cenciaiuolo è flemmatico e poco espansivo, non sempre
è garbato con le donne anche se qualche volta non manca
di galanteria stringendo la mano a qualche bella lavandaia nel
porgerle il cartoccio di sapone.
Egli non bada né al colore né alla finezza dei tessuti
che stiva nella sua cesta.
Tutti quelli che si avvicinano a lui nel barattare le loro pezze,
in maggioranza restano contenti di quanto ricevuto in cambio.
LA
LAVANDAIA
La
lavandaia c'è quella che va per le case dei suoi avventori
per prendere o riconsegnare i panni.
Poi c'è la maestra che è quasi volessimo dire l'imprenditrice,
la padrona dello stabilimento, la quale ha cura di scegliere le
varie raccolte di panni, e di segnalare con un metodo tutto proprio.
Ella paga le sue subalterne, o dà loro il tanto per cento
sull'utile.
E' la lavandaia-impresaria.
La fanciulla che porta sul capo l'immenso fagotto della biancheria
sporca o pulita è la nostra lavandaia tipo.
Essa come quasi tutte le altre proviene dal Vomero e da quelle
colline domina le sue rivali, come una castellana dominava i suoi
vassalli.
Eppure essa paga un prezzo a questo posto eminente, su quel colle
come è ben noto scarseggia l'acqua, quindi le poverine
sono costrette, esse, - che sono le prime lavandaie del paese!
- all'umiliante supplizio a cercar l'acqua a questo o a quel proprietario,
e, quel che è più a pagarla un tanto al mastello.
Ma non per questo elle desiste: là il tinello è
ereditario come il cognome: dalla bisnonna alla pronipote le lavandaie
di lassù furono tali, salvo qualche caso di matrimonio
eccezionale.
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