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Napoli Barocca

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La Storia di Napoli : Età Barocca
Tommaso Aniello
detto Masaniello

Per tutto il Seicento Napoli è ancora governata dagli spagnoli la cui politica continuava a perseguire il disegno di accentramento del potere regio riunendo nella capitale tutte le funzioni politico-amministrative nonché quelle economiche e sociali, puntando sulla città come centro chiave della loro strategia mediterranea e delle loro entrate fiscali.

Una nuova e moderna struttura che rendeva Napoli città opulenta e dinamica con un ruolo primario nel campo dell'arte, della produzione letteraria e della speculazione filosofica e scientifica.

Non si possono negare però anche i pesanti risvolti negativi, rappresentati da una città caotica e congestionata con gravi dissidi sociali; una struttura economica debole e fondamentalmente incapace di trasformare un mercato di consumo in un grande centro produttivo.

La rivolta antispagnola (luglio 1647 - aprile 1648) capeggiata dal leggendario Masaniello fu l'episodio sociale più sconvolgente del secolo ed il chiaro segno delle forti tensioni generatesi all'interno della capitale, e tra questa e le province, sotto il comune denominatore rappresentato dell'oppressione fiscale che aveva raggiunto ogni limite di guardia.

La rivoluzione di Masaniello
(M.Spadaro - Museo di S.Martino - Napoli)

Uno dei fenomeni di riflesso della politica di accentramento è sicuramente rappresentato dall'eccezionale movimento demografico verso la capitale, che determinò sotto il profilo urbanistico un nuovo volto alla città (già evidente nella pianta di Alessandro Baratta del 1629) che senza alcuna programmazione crebbe disordinatamente sotto questa gigantesca spinta migratoria dilatandosi fuori le mura nonostante le leggi restrittive normalmente violate.


Veduta di Napoli di Baratta - 1629

Tutti i borghi si svilupparono vertiginosamente configurandosi come continuità della città da essa separata solo dalla cortina delle murazioni.

Nacque così una edilizia civile tesa solo a soddisfare l'urgente richiesta abitativa (all'interno delle mura i palazzi raggiunsero altezze vertiginose per quei tempi); di diversa qualità e con esiti spesso di altissimo livello fu invece l'edilizia nobiliare e religiosa che costituì, pur se in un tessuto urbano così squilibrato, il nuovo arredo della città insieme alle piazze, agli obelischi, alle fontane.

In genere sono relativamente pochi gli esempi di edifici costruiti ex novo, come il palazzo dei Viceré in piazza Plebiscito eretto nel 1600-1602 dall'architetto di corte Domenico Fontana.

Più volte rimaneggiato, del palazzo secentesco rimangono solo il cortile e la facciata (con le arcate chiuse dal Vanvitelli nel 1753 ed ornate nell'Ottocento con statue dei fondatori delle dinastie che regnarono su Napoli).

Nella maggioranza dei casi l'aristocrazia utilizzò strutture già esistenti nel tessuto urbano più qualificato e socialmente più rappresentativo, che poi ristrutturò e riammodernò su progetto di architetti di prima grandezza dell'ambiente napoletano.

Il palazzo Firrao, su via Costantinopoli, e il palazzo Maddaloni situato nel cuore del centro antico tra via Toledo e calata Trinità Maggiore, sono esempi di trasformazione di edifici preesistenti dove un particolare impegno si rivela nella cura degli esterni; la facciata infatti si impone, anche nei vicoli più soffocanti, con una ricca e fastosa decorazione plastica che si concentra sul portale d'ingresso, sicuro e visto richiamo ed efficace simbolo del potere della famiglia residente.

Ma il fenomeno più vistoso di questo secolo è rappresentato dal ruolo della Chiesa che, all'indomani del Concilio di Trento, concentrò tutte le energie disponibili nello sforzo di affermare il proprio potere contro il pericolo dell'eresia protestante.

Si aprì così una stagione assai fertile per l'edilizia sacra, con nuove, o rinnovate strutture ecclesiali ed un numero di religiosi che crebbe vertiginosamente (circa 4600 alla meta del Seicento, rispetto ai 3700 del 1585).


Palazzo Reale
Pianta del 1651

Piazza del Gesù Nuovo
Stampa

Gesù Nuovo
Il portale

Palazzo Firrao

S.Maria della Snità
Cupola e campanile

Certosa di S.Martino
S.Bruno - Cosimo Fanzago

Pio Monte Misericordia
S.Pietro Liberato
Battistello Caracciolo

Massimo Stanzione
S.Agata in carcere
Museo di Capodimonte

Jusepe de Ribera detto Spagnoletto
Apollo e Marsia
Museo di S.Martino

Mattia Preti
Bozzetto per gli affreschi sulla peste del 1656
Museo di Capodimonte

Impossibile anche solo citare in questo contesto tutte le chiese costruite o riammodernate, pertanto, porteremo solo qualche esempio: tra le realizzazioni più importanti della controriforma è la chiesa di Santa Maria della Sanità, costruita nel 1602-13 da Giuseppe Donzelli (detto fra Nuvolo) e nota anche per la suggestiva decorazione esterna della cupola con piastrelle di maiolica gialla e verde, le due chiese del Gesù Vecchio e del Gesù Nuovo assieme al piccolo gioiello dell'Oratorio dei Nobili, gli scenografici complessi di San Paolo Maggiore, elevato su di un tempio romano dedicato ai Dioscuri, e dei Santi Apostoli sorta su fondazione del V secolo secondo il progetto di Francesco Grimaldi.

Della inesauribile attività di Cosimo Fanzago ricordiamo solo le chiese dell'Ascensione a Chiaia, di Santa Teresa a Chiaia, di Santa Maria Egiziaca a Pizzofalcone.

Una presenza, quella ecclesiale, che dilagò nella città e ne influenzò, o quanto meno si intrecciò con ogni suo aspetto fondamentale, ne sconvolse l'assetto urbanistico, ma generò anche una forte committenza capace di dare grande impulso alla piccola e grande industria delle arti.

Un caso emblematico è rappresentato dalla Certosa di San Martino che dalla fine del XVI secolo e fino al Settecento inoltrato vide impegnati architetti, scultori, pittori e maestranze altamente specializzate in una imponente opera di trasformazione e rinnovamento dell'antica dimora trecentesca del più austero tra gli ordini monastici: i Certosini.

E proprio nel Seicento che ferverono maggiormente i lavori in tutta la certosa con a capo Cosimo Fanzago che intervenne dopo gli ampliamenti di Giovan Giacomo di Conforto e soprattutto Giovan Antonio Dosio, come architetto, scultore, decoratore plastico e principalmente come regista di tutti i lavori (dal 1623 al 1656) e geniale inventore delle più raffinate e ingegnose soluzioni scenografiche nel chiostro grande come nella chiesa.

La committenza dei Certosini consentì imprevedibili accostamenti tra i più diversi artisti che in un perfetto equilibrio fecero dell'antico complesso conventuale il monumento barocco più ricco di opere e una completa galleria della pittura del Seicento.

In una rara cornice di sculture, stucchi dorati, marmi policromi e tarsie lignee, si aprono i testi pittorici di Battistello Caracciolo, Jusepe de Ribera, Massimo Stanzione, Guido Reni, Giovanni Lanfranco e tanti altri.

Tutti pittori di eccezionale rilievo della scena napoletana, che dal 1606, data del primo soggiorno di Caravaggio, si era aperta alle istanze culturali più nuove, creando un ambiente artistico tra i più complessi della nostra storia; sul naturalismo caravaggesco, riletto in diversissime accezioni per tutta la prima metà del Seicento da pittori come Battistello, Ribera o Stanzione, intervennero esiti di pittura neoveneta, il classicismo di origine bolognese, importato dal Domenichino nel suo lungo soggiorno a Napoli (1630-41), il classicismo romano, conosciuto tramite i testi di Nicolas Poussin e dalla presenza di Charles Mellin.

Mentre l'emiliano Giovanni Lanfranco, attivo in città dal 1634 al 1646 come frescante delle più famose chiese (Gesù Nuovo, Santi Apostoli, Cappella del Tesoro etc.), aprì Napoli alla cultura barocca.


S.Gennaro intercede per la peste del 1656
Luca Giordano - Palazzo Reale - Napoli
(prov. dalla Chiesa di S.Maria del Pianto)

Ritornando alla Certosa di San Martino vogliamo ricordare l'affresco di Battistello raffigurante San Gennaro che ferma la lava durante l'eruzione del Vesuvio del 1631, opera che, insieme all'analogo affresco del Domenichino nella Cappella del Tesoro nel Duomo di Napoli, ferma nella memoria collettiva quella terribile sciagura che colpì Napoli e che, per gli eventi miracolosi accaduti, si lega profondamente al culto di San Gennaro, Santo a cui fu poi eretta la guglia lungo via Tribunali come ringraziamento per la sua intercessione.

Al Santo protettore della città era stata già dedicata la cappella del Tesoro, ora ricordata, che si costruì nel 1608 su progetto di Francesco Grimaldi con i generosissimi fondi dei devoti napoletani, e custode di un raro e prezioso tesoro (artistico ed economico).

E sono proprio le testimonianze del culto di San Gennaro, disseminate in tutta la città, a condurci lungo tutto il Seicento in un triste itinerario: l'eruzione del Vesuvio del 1631, la peste del 1656, il terremoto del 1688.


La peste del 1656
(M.Spadaro - Museo S.Martino - Napoli)

La più terribile esperienza fu certamente il morbo della peste che decimò la popolazione e segnò per moltissimi decenni la memoria dei napoletani, conservata e tramandataci da epigrafi, dipinti, chiese o guglie erette in tale occasione.

Ricordiamo, solo come esempio, gli affreschi che Mattia Preti dipinse sulle sette porte della città come invocazione della protezione divina oggi persi, ma documentati dai due bozzetti del Museo di Capodimonte.

(Angela Schiattarella)
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