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La
Storia di Napoli : Il Settecento
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Carlo
di Borbone
(1734-1759)
R.Belliazzi - 1888
Facciata Palazzo Reale
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Dopo
la parentesi asburgica (1707-1734) nella quale
il sistema di dominio attraverso i Viceré
era proseguito senza differenze sostanziali
rispetto al precedente periodo spagnolo, Napoli
divenne capitale di un regno indipendente sotto
la dinastia borbonica.
Durante il governo di Carlo di Borbone (1734-59)
e poi di suo figlio Ferdinando IV (1759-99)
il volto della città muto con l'apertura
di grandi cantieri, la realizzazione di nuove
arterie e la promozione di attività artistiche
poste sotto il diretto controllo regio.
L'aspetto marcatamente conventuale che aveva
caratterizzato Napoli dalla fine del Cinquecento
al secondo decennio del Settecento e che già
durante il viceregno austriaco era stato oggetto
di un tentativo di limitazione, venne modificato
dalla volontà di Carlo di qualificare
la città con una serie di testimonianze
architettoniche della magnificenza della dinastia
borbonica.
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Se
è pur vero che l'architettura di dimensione
urbanistica promossa dal re stabilirà forti
punti di riferimento per la crescita futura di
Napoli, si deve d'altronde sottolineare che gli
interventi borbonici non promossero in definitiva
un organico programma di ristrutturazione della
città.
Nell'attuazione di questi interventi fu quasi
sempre costante il rifiuto da parte dei sovrani
degli architetti locali; le scelte di Carlo si
indirizzarono infatti inizialmente verso ingegneri
militari ed architetti già attivi in ambito
romano come Giovan Antonio Medrano e Antonio Canevari,
tipici rappresentanti di un linguaggio retorico.
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Pianta
di G.Carafa duca di Noja (1775)
(Parte
sinistra - Museo di S.Martino - Napoli)
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Pianta
di G.Carafa duca di Noja (1775)
(Parte
destra - Museo di S.Martino - Napoli)
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Il
re considerò invece con sospetto i massimi
esponenti del tardo barocco napoletano, Domenico Antonio
Vaccaro (1678-1745) e Ferdinando Sanfelice (1675-1748),
forse perché troppo compromessi con il passato
viceregno austriaco.
Il primo, pittore e scultore oltre che architetto,
il secondo, aristocratico di raffinata cultura aperta
alle esperienze mitteleuropee, avevano dispiegato
la loro fantasiosa architettura, brillantemente definita
atettonica, in una serie di palazzi nobiliari e di
chiese, connotando vivacemente la Napoli del primo
Settecento di quei caratteri di musicalità
e di luminosità che tanta ammirazione destarono
nei viaggiatori stranieri durante il corso del secolo.
A Vaccaro si devono palazzo Tarsia, la Concezione
a Montecalvario, San Michele a Port'Alba, oltre che
la decorazione delle Cappelle della Certosa
di San Martino.
Sanfelice sperimentò invece continue variazioni
sul motivo della scala aperta nei suoi palazzi, tra
cui quello di Serra di Cassano e il suo stesso palazzo
ai Vergini; a lui devono inoltre ascriversi il rinnovamento
radicale della chiesa della Nunziatella e la realizzazione
di chiese come la poco nota Consolazione a Villanova
e Santa Maria Succurre Miseris.
L'architettura di Vaccaro e Sanfelice che si inserisce
nella stratificazione irregolare dell'edilizia napoletana,
in definitiva accettandola, si colloca su un binario
opposto alla corrente ufficiale che a metà
secolo, con la venuta di Ferdinando Fuga e Luigi Vanvitelli,
già attivi alla corte papale, raggiunse uno
stile adeguato ai valori che intendeva comunicare
la committenza regia, improntato ad un tipo di classicismo
austero e magniloquente.
In sintonia con il classicismo di Vanvitelli, anche
se in una posizione più appartata, si collocò
Mario Goffredo (17181785).
Uno dei punti focali della nuova dimensione urbana
che cogliamo nella mappa
topografica di Giovanni Carafa duca di Noja, redatta
nel 1750 e pubblicata nel 1775, è l'Albergo
dei Poveri.
Iniziato nel 1751 da Ferdinando Fuga in via Foria,
questo mastodontico ospizio rimasto incompiuto venne
concepito da re Carlo per accogliere ottomila poveri
del Regno secondo una tipica concezione utopistica
tardo-illuminista.
Più in alto la Reggia di Capodimonte, edificata
da Giovanni Antonio Medrano a partire dal 1738, il
primo dei "siti reali" voluti dal sovrano
ad uso della Corte.
Tra questi, visibile nella mappa Carafa, è
la Reggia di Portici costruita da Antonio Canevari
a partire dal 1741 lungo la strada costiera che conduceva
al Principato Citra, il "Miglio d'oro",
successivamente caratterizzato da numerose splendide
residenze dell'aristocrazia napoletana.
Tra gli interventi promossi da Carlo e poi da Ferdinando
nella capitale sono da ricordare la trasformazione
a partire dal 1735 in Real Museo Borbonico dell'edificio
già adibito a Palazzo degli Studi, collocato
in una posizione nodale tra via Foria e la salita
che conduceva a Capodimonte.
Nel 1757 venne edificato il Teatro San Carlo affianco
al ristrutturato palazzo vicereale divenuto Reale.
Nel 1739 si intervenne nella zona del porto, ingrandito
e messo in comunicazione con la città attraverso
la realizzazione dell'attuale via Marina (1740-1749),
importante snodo urbanistico che comportò una
vera e propria bonifica dell'intera zona.
Anche il borgo di Chiaia venne risanato per colmata
e collegato alla città tramite la strada di
Mergellina, mentre l'allargamento e la ristrutturazione
di via Foria consentirono il risanamento dei borghi
di Sant'Antonio, Santa Maria dei Miracoli e di Santa
Maria della Sanità.
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Palazzo
Serra di Cassano
La scala - F.Sanfelice
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Palazzo Sanfelice
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Palazzo Cellammare
Ingresso - F.Fuga
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Albergo dei Poveri
F. Fuga
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Palazzo Reale
di Capodimonte
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Portici
- Palazzo Reale
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Teatro
S.Carlo
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G.Carafa
duca di Noja
Si nota la sistemazione
di Chiaja e la villa Reale
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Villa
Reale a Mergellina
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ForoCarolingio
- Progetto di L.Vanvitelli Museo di S.Martino
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Foro
Crolingio
Vanvitelli L.
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Guglia
dell'Immacolata
Bottoglieri - Pagano
Piazza del Gesù
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Cristo
Velato
G. Sanmartino
Cappella Sansevero
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Andrea
Vaccaro
Orfeo e le baccanti
Palazzo Reale
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F.Solimena
Espulsione di Elidoro dal tempio
Chiesa Gesù Nuovo
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F.
De Mura
Allegoria delle nozze di Carlo di
Borbone e Maria Amalia di Sassonia
1738 - Palazzo Reale
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D.
Antonio Vaccaro
Lo Spirito Santo benedice l'Unione
coniugale
1739 - Palazzo Reale
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Tra
il 1757 e il 1765 Luigi Vanvitelli realizzò
l'emiciclo del Foro
Carolino, attuale piazza Dante, mentre un'altra
pubblica impresa di grandi dimensioni affidata a Ferdinando
Fuga fu la costruzione dei Granili, poi andati distrutti,
oltre il ponte della Maddalena, durante il regno di
Ferdinando IV a partire dal 1778.
Veramente formidabile fu la schiera di scultori e
marmorari attivi sia per gli architetti locali che
per quelli impegnati nell'edilizia ufficiale.
Tra questi artisti, oltre allo stesso Domenico Antonio
Vaccaro che attuò con estrema libertà
la sua ricerca basata su una geniale commistione di
pittura, scultura e architettura, emergono Matteo
Bottiglieri (1684-1756) e Francesco Pagano (1764)
autori delle statue della Guglia dell'Immacolata (1747-1750)
in piazza del Gesù, autentica macchina da festa
pietrificata.
Ma sarà il grande Giuseppe Sanmartino (1720-1793)
a caratterizzare il secondo Settecento con il suo
linguaggio maestoso che passa da una intonazione ancora
tardo-barocca ad una accademica compostezza in una
serie di opere tra le quali ricordiamo il famosissimo
Cristo velato della Cappella Sansevero (1753), le
statue dei Santi Filippo e Giacomo sulla facciata
della chiesa omonima (1758) e le sculture allusive
alle virtù di Carlo di Borbone, collocate sull'emiciclo
del Foro
Carolino.
Nonostante Sanmartino avesse ottenuto committenze
regie, si devono rilevare lo scarso interesse mostrato
da Carlo per gli scultori locali e la sua predilezione
per artisti come il francese Giuseppe Canart e il
bolognese Agostino Corsini, attivi nella Cappella
Reale di Portici, o come il romano Andrea Violani
chiamato con il genovese Tommaso Solari a realizzare
le sculture della Reggia di Caserta.
Il sovrano non esitò invece ad avvalersi dei
pittori napoletani che avevano ormai raggiunto una
indiscussa fama internazionale.
Così Francesco Solimena, Francesco De Mura
oltre a Domenico Antonio Vaccaro e ad altri pittori
vennero chiamati per affrescare le sale del Palazzo
Reale in occasione delle nozze di Carlo con Maria
Amalia di Sassonia nel 1738.
A questa data l'elemento emergente è Francesco
De Mura (1696-1782).
Formatosi alla scuola di Solimena per oltre un trentennio
indiscusso capofila della pittura napoletana, De Mura
ne sviluppò le formulazioni di più luminosa
e arcadica chiarezza in una chiave definita "metastasiana".
Emblematica testimonianza del suo stile sono gli affreschi
della volta e la controfacciata della chiesa dei Santi
Severino e Sossio.
Ad una fitta schiera di artisti formatisi con Solimena
come Jacopo Cestaro, Domenico Mondo, Lorenzo de Caro
e con lo stesso De Mura, come Giacinto Diano e Pietro
Bardellino, si deve l'elaborazione di un linguaggio
che riuscì a comporre le strutture compositive
solimenesche con i toni della elegia arcadica demuriana,
venendo incontro soprattutto alle esigenze della committenza
religiosa.
Mentre cari ad un collezionismo 'laico' di rappresentanti
dell'alta borghesia e nobili illuminati saranno maestri
come Filippo Falciatore e soprattutto Giuseppe Bonito
e Gaspare Traversi.
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Dalla
meta del secolo. l'influenza a Corte di Luigi Vanvitelli favorì
l'affermazione di una tendenza di gusto orientata in senso
decisamente classicista che ebbe tra i rappresentanti più
significativi Sebastiano Conca e Corrado Giaquinto.
Con la venuta a corte di Anton Raphael Mengs nel 1759 si apriva
la via al Neoclassicismo; uno dei suoi rappresentanti, Johann
Heinrich Wilhelm Tischbein, fu nominato nel 1789 Direttore
della Real Accademia del Disegno imprimendo a questa istituzione
un indirizzo decisamente opposto a quello della scuola tardo,
barocca e rococo napoletana.
(Ida Maietta) |
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