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Napoli Vicereale

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La Storia di Napoli : Età Vicereale
Carlo V
(1516-1556)
V.Gemito - 1888
Facc. Palazzo Reale Napoli

Nel 1503 con l'ingresso in città di Consalvo de Cordova, generale di Ferdinando il Cattolico, iniziò la dominazione spagnola a Napoli, che darà circa due secoli e determinò un crescente divario tra capitale e viceregno, con conseguente trasformazione dello spazio urbano.

Nella prima metà del Cinquecento, sotto il regno di Carlo V, la politica del viceré don Pedro de Toledo (1532-53) determinò un vero e proprio riassetto della città, con la realizzazione di opere di pubblica utilità come impianti fognari ed idrici e pavimentazione urbana, con l'impostazione di pesanti gabelle per quanti volessero edificare in città, e la costruzione di nuovi tratti di murazione, che chiusero Napoli in una compatta struttura difensiva, rafforzata dai quattro castelli:

Castel Nuovo, a cui venne aggiunta una seconda cinta bastionata circondata da profondo fossato, Castel dell'Ovo, il Castello del Carmine, Castel Sant'Elmo, che per la particolare posizione strategica rappresentò il fulcro del sistema difensivo della Napoli vicereale.

Gli architetti Manlio e Benincasa costruirono il palazzo vicereale, successivamente demolito, da cui partiva la nuova strada che prese il nome dal viceré, via Toledo, a monte della quale venne edificato il complesso edilizio destinato ad alloggio per le truppe, i cosiddetti "quartieri spagnoli".


Il Palazzo Vicereale
L.Coccorante - Largo di Palazzo - Vienna - Galleria Harrach

Alle opere pubbliche promosse dalla illuminata politica del viceré urbanista si affiancarono numerose iniziative edilizie private e religiose, che interessarono in particolar modo la parte più antica della città, corrispondente al primitivo nucleo greco-romano, che andava congestionandosi per l'aumento della popolazione attratta in città da privilegi fiscali.

Si costruirono monumentali palazzi per le grandi famiglie aristocratiche del viceregno, che trascorrevano lontano dai feudi parte dell'anno: tra questi Palazzo di Capua, poi Marigliano, e Palazzo Gravina, tra i maggiori esempi di edilizia civile rinascimentale.

Documento fondamentale per la lettura delle trasformazioni urbane sotto il viceregno di don Pedro de Toledo è la nota incisione con Veduta di Napoli (1566) di Antonio Lafrery, che si conserva nel Museo di San Martino, da cui si rileva che numerosi edifici religiosi vennero costruiti, in special modo a partire dagli anni Trenta del secolo, quando arrivarono a Napoli i più importanti ordini religiosi per combattere le eresie.


Castel dell'Ovo

Castel S.Elmo
Certosa S.Martino

Palazzo Gravina

Pianta di Napoli di A. Lafrery - 1566

S.Giovanni a Carbonara
Interno

Chiesa S.Aniello
a Caponapoli

Castel Capuano

Chiesa S.Giacomo degli Spagnoli
Cristo deposto - paliotto d'altare

Chiesa S.Anna dei Lombardi
G.Vasari - Il refettorio - sotto Altare

L'insediamento in città di Teatini, Gesuiti, Oratoriani, Scolopi, Camilliani, Barnabiti ed altri, provocò l'edificazione di nuove chiese e conventi e la ristrutturazione di quelli preesistenti, secondo precisi criteri dettati dalle norme sancite dal Concilio di Trento.

Per l'elevato numero di edifici religiosi ed assistenziali Napoli a fine secolo acquistò l'aspetto di città conventuale con vere e proprie "isole monastiche" recintate da ampie mura.

I primi notevoli esempi di architettura sacra del XVI secolo sono la Cappella Caracciolo di Vico in San Giovanni a Carbonara, iniziata fin dal 1499 da Tommaso Malvito da Como, a pianta circolare di ispirazione bramantesca, e la Cappella del Succorpo del Duomo, realizzata dal Malvito e collaboratori entro il 1505 su commissione del cardinale Oliviero Carafa.

Nella parte più alta del Centro Antico si costruirono Santa Maria delle Grazie a Caponapoli (1516-35), vero e proprio museo della scultura cinquecentesca, ma che a partire dal 1977 è stata gravemente saccheggiata, e Sant'Aniello a Caponapoli (1517), edificata su. una più antica chiesa del VI secolo dedicata a sant'Agnello, anch'essa testimonianza notevole della scultura del Cinquecento, gravemente danneggiata dai bombardamenti dell'ultima guerra.

Tra i più estesi insediamenti monastici va ricordato il complesso benedettino dei Santi Severino e Sossio, il cui convento è adibito a sede dell'Archivio di Stato dal 1845; notevole è ancora la chiesa domenicana di Santa Caterina a Formiello, tra Porta Capuana e Castel Capuano, iniziata nel primo decennio del secolo su progetto di Romolo Balsimelli, con evidenti influenze toscane, e completata nel 1593.

Legata al viceré è invece la costruzione della chiesa di San Giacomo degli Spagnoli, eretta a partire dal 1540 su progetto di Ferdinando Manlio, con annesso l'Ospedale per i militari, istituzione che rientrava nel piano di iniziative assistenziali di don Pedro de Toledo, il cui sepolcro si custodisce all'interno della chiesa, dietro l'altare maggiore.

Entro la prima metà del secolo nella chiesa di Monteoliveto vennero realizzati i due monumentali altari ai lati dell'ingresso, a sinistra l'altare Del Pezzo, opera matura dello scultore Girolamo Santacroce (1524), a destra l'altare Ligorio, di Giovanni da Nola (1532).

Ma gli affreschi decorativi della volta del Refettorio di Giorgio Vasari e collaboratori (1544-45) con Virtù e grottesche e le tarsie lignee del frate olivetano Giovanni da Verona (1506) sistemate lungo le pareti, con vedute di paesaggi, strumenti musicali, libri, fanno di questo ambiente uno dei più prestigiosi del Cinquecento.

Nella seconda metà del secolo, pur emanando bandi e divieti, i viceré non seppero affrontare i vasti problemi della città che si congestionò al suo interno espandendosi fuori le mura.

La committenza ecclesiastica prese il sopravvento con una frenetica e disordinata attività edilizia poiché gli ordini religiosi, non colpiti dalle pesanti gabelle e rafforzati sempre più sia politicamente che economicamente, occuparono spazi dentro e fuori le mura.

Nel 1574 Giovan Battista Cavagna costruì la nuova chiesa di San Gregorio Armeno, con accesso dalla strada e rispondente alle esigenze della vita monastica delle suore di clausura che potevano seguire i riti religiosi senza essere viste.

Ricchissimo il soffitto con inseriti dipinti di Teodoro d'Errico, artista fiammingo che lavorò molto a Napoli.

Sul finire del secolo Santa Maria la Nova (1596-99) fu edificata distruggendo una preesistente chiesa angioina; il prezioso soffitto ligneo cassettonato, in cui sono inseriti ben 47 dipinti di Francesco Curia, Girolamo Imparato, Fabrizio Santafede e Belisario Corenzio, è testimonianza eccezionale della maniera figurativa di fine secolo.

Si ricorda infine che il 1578 segnò per la Certosa di San Martino l'inizio di importanti opere di ristrutturazione, perché insufficiente ad accogliere l'accresciuto numero dei religiosi.

Con il priore Severo Turboli (1581-97) si avviarono lavori di ammodernamento ed ampliamento secondo le nuove istanze controriformate.

Dal 1591 il fiorentino Giovanni Antonio Dosio procedette alla ristrutturazione del trecentesco Chiostro Grande e all'ingrandimento della chiesa con cappelle laterali e nuovi locali e Belisario Corenzio, Michelangelo Naccherino e Pietro Bernini diedero avvio al programma decorativo che per circa due secoli impegnò la committenza dei padri Certosini.

(Gemma Cautela)

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